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Un po di Storia

Giandomenico Romano

Da Wikipedia

Nato a Castelnuovo della Daunia, fu l’ultimo di otto fratelli, figlio di Maria Giuseppa De Marco e da Filippo Romano, esponente della borghesia terriera.

Si laureò presso l’Università di Giurisprudenza di Napoli. Il periodo universitario fu foriero di ideali liberali ed unitari che caratterizzarono il Risorgimento italiano.

Cospiratore contro i Borboni, nel 1848 si arruolò volontario al fronte lombardo-veneto. Ferito a Curtatone fu fatto prigioniero presso la fortezza di Theresienstadt in Austria, dalla quale fuggì. Partecipò alla difesa della Repubblica romana al fianco del generale Giuseppe Avezzana, il quale lo scelse come suo aiutante di campo. Nel 1860 divenne un garibaldino. Distintosi all’epoca dei Mille, per l’ardore ed il coraggio, Giuseppe Garibaldi lo nominò Ministro di Grazia e Giustizia e per gli Affari Ecclesiastici. Il 4 settembre 1862 sposò Pierina, figlia del Generale Avezzana. Ebbe quattro figli, tra questi da ricordare sono Furio Camillo, Ministro d’Italia ad Atene, Ambasciatore a Washington ed a Parigi e senatore del Regno e Clelia, apprezzata narratrice e antesignana italiana del movimento femminile per il voto alle donne. Nel 1870 entrò a far parte del giovane Parlamento Italiano in Roma e fu deputato per molte legislature. Nella Magistratura fu Presidente di Sezione della Corte di Appello di Napoli. La sua convinzione era che l’unità d’Italia non dovesse significare l’annessione al Piemonte degli Stati che unirono le loro sorti alla Monarchia Sabauda ma come la fusione di tutti gli italiani intorno al comune retaggio di civiltà, alla comune storia e cultura.

 

Camillo Romano Avezzana

Camillo Romano Avezzana (Napoli, 4 ottobre 1867 – Eboli, 15 giugno 1949) è stato un diplomatico e politico italiano, ambasciatore d’Italia negli Stati Uniti d’America dal 1919 al 1920 e in Francia dal 1922 al 1927. Fu nominato senatore del Regno d’Italia nel 1934.

 

Da Wikypedia

Clelia Romano Pellicano

Clelia Romano Pellicano nacque nel 1873, figlia del barone Giandomenico Romano (giurista e deputato) e Pierina Avezzana (figlia del leggendario generale garibaldino Giuseppe Avezzana e di una nobildonna irlandese). Clelia ricevette un’educazione rigida ma improntata su ideali liberali in uno stimolante ambiente culturale. Alla morte del padre, nel 1892, giovanissima sposò il marchese calabrese Francesco Maria Pellicano, ufficiale di cavalleria, dell’illustre casato dei duchi Riario-Sforza, marchesi di Gioiosa Ionica. Tra Clelia e il marchese Francesco furono “nozze contratte in un raro e felice connubio della ragione e del cuore” (come lei stessa definì il suo rapporto), anche se Francesco Maria, fosse spesso impegnato lontano da casa, a causa dei suoi impegni istituzionali, in quanto deputato al Parlamento Italiano. La giovane coppia si trasferì dopo il matrimonio a Gioiosa Ionica, presso le residenze del marchese nella locride, dove la neo giovane marchesa prese spunto per il suo percorso culturale e artistico, nei confronti della condizione della donna in Calabria. La coppia visse anche a Castellammare di Stabia e a Roma, dove frequentò il gotha dell’aristocrazia e del mondo culturale romano dell’epoca, frequentando Ministri come Orlando, Di Rudinì, Salandra e da intellettuali, scrittori e poeti, come Salvatore Di Giacomo, Luigi Capuana, Matilde Serao, e in questi stessi anni ebbe ben sette figli, nati nei diversi comuni di residenza.

Nel 1909 perse il marito Francesco Maria, ciò la costrinse ad occuparsi da sola dei sette figli, e di tutelare il patrimonio di famiglia ereditato dal marito, dall’azienda agricola e dell’industria della seta, creò nuove attività, come lo sfruttamento del fondo boschivo a Prateria (a San Pietro di Caridà nella locride) dove diede luogo anche alla nascita dell’impresa S.p.a. Calabro forestale, che contribuì allo sviluppo di quel territorio. La marchesa Pellicano, morì ancora giovane il 2 settembre 1923, brillante personalità che non riuscì a vedere il traguardo delle sue lotte per i diritti della donna in Europa.

Avanguardia femminista

Clelia Pellicano è stata una “pioniera del femminismo” in Italia ma anche in Europa. Convinta europeista, sfruttò la sua posizione privilegiata e le sue conoscenze, partecipando a conferenze femministe e a battaglie per i diritti al voto delle donne, dei diritti delle donne all’istruzione, era dedica all’affermazione di una dimensione extradomestica delle donne, e della rivendicazione del ruolo femminile nella stampa dell’epoca. Difatti svolse il mestiere di giornalista, cosa molto rara per una donna in quell’epoca, fu corrispondente della rivista mensile “Nuova Antologia” di Firenze, nella sede romana, nella quale vi partecipavano importanti scrittori dell’epoca come Pirandello, Verga, De Amicis, Grazia Deledda, ove vi pubblicò un’interessante indagine sulle donne illustri nella storia di Reggio Calabria, e un’interessante inchiesta sulle industrie e le operaie del capoluogo calabrese, che venne pubblicata nel 1907, (Donne e industrie nella Provincia di Reggio Calabria, Roma, “Nuova Antologia”, 1907); nella stessa rivista, portò alla luce attraverso le sue inchieste, con sguardo critico, i meccanismi di potere in Calabria, il ruolo del clero, e la condizione femminile dell’epoca.

Collaborò con la rivista “Flegrea” e con la rivista femminile torinese “La Donna” dove nel 1909 scrisse per quest’ultima dei reportage come corrispondente da Londra, dove s’era recata in qualità di socia delegata del Consiglio Nazionale Donne Italiane (CNDI), per partecipare al Congresso Internazionale femminile che lei chiamava la “nostra alleanza”, sorta fin dal 1902, una kermesse internazionale di grande interesse, dal motto «Nelle cose essenziali unità, nelle non essenziali libertà, in tutte carità», con partecipazione di delegate da tutto il mondo, dall’Europa all’Australia alla Nuova Zelanda, fino a rappresentanti di paesi africani. Donna di grande cultura, la marchesa Pellicano parlava agevolmente inglese e francese, si distinse orgogliosa rappresentante dell’Italia, degna di nota la sua dichiarazione augurale:

«Ricordatevi voi donne d’ogni razza, d’ogni paese – da quelli dove splende il sole di mezzanotte a quelli in cui brilla la Croce del Sud – qui convenute nella comune aspirazione alla libertà, all’uguaglianza, strette da un nodo di cui il voto è il simbolo, ricordatevi che il nostro compito non avrà termine se non quando tutte le donne del mondo civilizzato saranno sempre monde dalla taccia di incapacità, d’inferiorità di cui leggi e costumi l’hanno bollate finora!»

Nel 1910, scrisse la prefazione del libro La legge e la donna di Carlo Gallini, opera che ambiva a sollecitare il parlamento italiano ad ammettere le donne al voto. Nel 1912 curò una sottoscrizione nazionale e intervenne con un contributo personale per favorire il trasporto e la cura dei malati, come diritto fondamentale dei cittadini. Nel 1914 aveva partecipato al congresso per rivendicare i diritti sociopolitici delle donne, a Roma, per richiedere una migliore retribuzione del lavoro femminile al pari degli uomini.

Clelia Pellicano, fu una pioniera del movimento femminista italiano ed europeo, portò alla ribalta la battaglia femminile per la parità di diritti e doveri, l’ideologia socialista appresa anche da ambito familiare, per una religiosità laica, da cui dipenderà una futura vita migliore nella società. Merita d’essere ricordata come esempio d’una femminilità coraggiosa e dinamica che trasmette valori etici e di parità dei diritti.

L’attività letteraria

Le sue opere letterarie, si basavano principalmente nel narrare riti popolari e religiosi nella realtà calabrese, di cui era grande osservatrice, dai vicoli paesani all’atmosfera ovattata dei salotti nobiliari[4], con i suoi usi e costumi, talvolta critici talvolta con spirito goliardico. Nelle sue opere, descrisse anche i rapporti di coppia tra uomo e donna, in rapporto a tradizione e modernità dell’epoca, svelandone le contraddizioni e le ambiguità, la vita contadina e il ruolo e la condizione della donna nella società. Riuscì a raccontare temi spinosi da trattare all’epoca, con tecnica verista di chiara ispirazione ai primi scritti di Verga, e a tratti con l’ironia pirandelliana, nel suo stile notiamo anche l’influenza di Flaubert e di Maupassant. I suoi primi racconti vennero pubblicati nella rivista “Flegrea” con lo pseudonimo di Jane Grey, seguirono raccolte e novelle come Gorgo, Verso il destino romanzo che raccontava fatti e personaggi appartenenti a vari ceti sociali, di cui si sono perse le copie, Coppie del 1900 e La vita in due del 1908, romanzi audaci dove si raccontavano le difficoltà del matrimonio, i problemi sentimentali, le incomprensioni e i rapporti con i figli, con le cattiverie, ingiustizie e ipocrisie della società contadina. Nel 1908 pubblicò Novelle Calabresi, la sua opera più importante dove consoliderà la sua maturazione artistica. Nell’opera sono raccolte una serie di novelle, tra le più significative Marinella che narra della morte di una bambina morsa da un pesce venefico, La dote che descrive la vita di una famiglia borghese dove vige la consuetudine che le ragazze devono farsi monache per far sì che il primogenito maschio erediti tutto il patrimonio familiare, Schiave, che narra di una donna del popolo, legata al marito da affetto veramente servile, Colpo di Stato che racconta di due cugini che, per assicurarsi l’eredità di un vecchio zio prete, strangolano la sua concubina, e la Farsa di Rosetta (dedicata all’onorevole Maggiorino Ferraris) che racconta dei personaggi di un’antica farsa che veniva recitata l’ultimo giorno di Carnevale, tutte incentrate sulla descrizione puntuale, ironica e a volte critica della realtà gioiosana dell’epoca. Le novelle Colpo di Stato e Schiave, furono lodate persino da Benedetto Croce. Novelle Calabresi è stato riedito dalla Arnaldo Forni Editore di Bologna nel 1987.

 

Da Wikypedia

FAMIGLIA ROMANO DI CASTELNUOVO DELLA DAUNIA

Discendente della precedente famiglia dal ramo di Sorrento, passata in Campobasso e trasferitasi in Castelnuovo della Daunia (Fg) con AGOSTINO verso la fine del XVIII secolo.

Occupò vari alti uffici e decorata con R. D. del 3 maggio 1900 e RR. LL. PP. 20 settembre stesso anno del titolo di barone in persona CAMILLO FURIO, ambasciatore del Regno d’Italia negli U.S.A. ed in Francia, presidente della Conferenza di Porto Rose fra gli Stati successori dell’ex impero d’Austria e Ungheria, presidente della Conferenza dell’Aja, segretario generale della Conferenza di Genova, cavaliere di gran croce dell’Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro, della Legion d’Onore, cavaliere di gran croce della Corona d’Italia e di vari Ordini Equestri internazionali, decorato di medaglia di bronzo al valor militare guerra 1915/18; il predetto Camillo Furio per estinzione del ramo maschile della famiglia materna, donna Pierina Avezzana, ne aggiunse il cognome.

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